di Sebastiano Bazzichetto
tratto da The Yellow Gloves
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“Casta diva” (dalla Norma di Bellini) e “O mio babbino caro” (da Gianni Schicchi di Puccini) sono forse tra le arie più famose del repertorio operistico che tanto amava cantare e che la resero famosa in tutto il mondo. E già dopo il suo debutto al Metropolitan di New York l’appellativo di ‘divina’ l’avrebbe accompagnata per tutta la sua carriera di cantante lirica, personaggio pubblico, icona di stile, donna passionale, ambiziosa, lavoratrice instancabile.
Da poco spenti i riflettori sulla Mostra del Cinema di Venezia, si sono accesi la scorsa settimana quelli sulle rive del lago Ontario che quest’anno ospita la 42esima edizione del Toronto International Film Festival.
E tra le molte proposte di film e documentari senza dubbio imperdibile per gli appassionati di melodramma e non solo spicca la pellicola firmata da Tom Volf: “Maria by Callas”.
La diva a Venezia

La diva a Venezia

Il regista getta una nuova luce su una delle più grandi figure del XX secolo, attraverso lettere, articoli e interviste recentemente riscoperti. La pellicola cerca di ricostruire il caleidoscopio emotivo e personale della donna e della diva, orchestrando filmati d’archivio magnificamente restaurati.
Uno scatto artistico

Uno scatto artistico

Maria Callas morì a soli 53 anni nel 1977 e, già leggenda in vita per i suoi contemporanei, assunse tratti quasi mitologici per le generazioni a venire. E lo stesso regista Tom Volf rappresenta quella nuova generazione che si è innamorata dell’eredità drammatica e musicale dell’artista greco-americana. In molti anni di ricerca Volf ha scoperto scritti rari che saranno presto pubblicati nel suo libro “Maria Callas: Letters & Mémoires”. Gli estratti di quei diari intimi e appassionati vengono riportati in vita dalla voce di un altro grande soprano contemporaneo, l’americana di origini italiane Joyce Di Donato. Nel film, vediamo inoltre la stessa Callas nelle interviste che rilasciò durante la sua vita, inclusa una schietta conversazione con David Frost, considerata perduta fino a quando Volf scoprì, pochi anni fa, che il maggiordomo della cantante ne aveva tenuto una copia.
Icona di stile

Icona di stile

Senza dubbio, il film stravolge l’opinione comune sulla diva dagli occhi di un magnetismo tutto mediterraneo: il pubblico può finalmente godere di una prospettiva diversa su eventi chiave della sua vita, tra cui uno sciagurato annullamento della performance all’opera di Roma e la perdita del favore del direttore del Metropolitan, Rudolf Bing. Veniamo a conoscenza del suo rammarico umanissimo per non essere diventata mai madre e condivide i suoi sentimenti per la sua lunga storia d’amore con Onassis, durata ben oltre il matrimonio di quest’ultimo con Jackie Kennedy.
Ovviamente la musica è un deuteragonista fondamentale nel film. In sala riviviamo i grandi successi di alcune delle sue interpretazioni più celebri e riuscite: “La Traviata”, “Carmen”, “Tosca”, “Norma” e “Lucia di Lammermoor”. Come Callas dice a Frost: «Se qualcuno cerca davvero di ascoltarmi, troverà lì [nella mia musica] tutta me stessa». E, ancora, alla domanda «Perché canta, signora Callas?» la diva risponde «Cerco di dare al mio pubblico l’illusione di un qualcosa che sia migliore di questa vita». Sicuramente Maria, insieme alla sua Callas – diva e divina –, ha saputo creare un’illusione che è andata e va al di là dello spazio e del tempo.