A Venezia il periodo del Carnevale era (ed è) il momento più adatto per i travestimenti e le mascherate.

L’Arte dei Mascareri (mascherai) aveva un proprio statuto, chiamato la Mariegola, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia e risale al 1436: con il doge Francesco Foscari, la festa di Carnevale diventa un’occasione che si ripeteva ogni anno. A Venezia il Carnevale durava circa sei mesi e quindi ai Mascareri il lavoro non mancava. Le prime leggi della Repubblica veneta sulle maschere risalgono al 1268.

Nel Settecento la maschera più usata era la bauta (o bautta), costituita dal zendal (o cappuccio) di pizzo o seta, un tricorno e la larva – una maschera bianca – e da un tabarro (mantello nero).

La parola “larva” deriva dal latino e significa fantasma.

Il successo della bauta è sicuramente legato alla sua semplicità e al fatto che permetteva di muoversi a Venezia senza essere riconosciuti, sia uomini che donne: amanti, agenti segreti, spie, monache viziose uscite di nascosto dai conventi, personaggi politici in incognito, potevano muoversi liberamente e con discrezione.

Ancora oggi la bauta è una delle figure più richieste: permette di bere e mangiare senza togliersi la maschera, distorce la voce, si usa per strada, al casinò, a teatro, alle feste, negli incontri galanti e ogni volta che si desidera il totale anonimato in città.

 

 

*This is an original piece written for ScuolaBlog by Sebastiano Bazzichetto